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Gettoni nei Secoli


Introduzione

La pseudomoneta (o paramoneta) fu descritta per la prima volta in modo scientifico nel 1700 da J.E. Eckhel[1], docente di numismatica a Vienna, il quale, alla fine della sua magistrale opera in otto volumi Doctrina Nummorum Veterum, dedica una cinquantina di pagine ai contorniati, alle tessere in rame e in piombo ed alle sphintriae.

È evidente che la monetazione classica ha suscitato e suscita un maggior interesse di tipo storico e artistico, tuttavia negli ultimi tempi l'attenzione dei collezionisti si è sempre più focalizzata sulla pseudomoneta, che si diversifica per molteplici aspetti dagli altri tipi di monetazione caratterizzandosi come entità autonoma. Si può dire che essa è nata con la moneta, ha influenzato da sempre la micro-economia degli stati, ed è sempre risultata collegata a diverse autorità emittenti. Queste emissioni sono numerosissime, presentano un'infinità di tipi differenti e non hanno quasi mai avuto riscontro nella documentazione che regola le emissioni ufficiali. In alcuni casi la pseudomoneta è espressione dello Stato, in altri di suoi fiancheggiatori oppure di oppositori al potere costituito, più o meno tollerati da quest'ultimo. Sin dalle origini gettoni e tessere sono dunque stati manifestazioni di un beneficio, aristocratico o popolare, valido in aree geografiche circoscritte, e come tali il potere pro tempore ha sempre evitato di riconoscerli in modo ufficiale, ignorandoli o strumentalizzandoli. Nel corso dei secoli non ci sono stati molti cambiamenti della loro destinazione d'uso, e quindi nemmeno nella loro classificazione tipologica. Molto più complesso sarebbe invece il tentativo di separare le iniziative pro bono principis da quelle pro bono communitatis, distinguendo quindi i gettoni pagati in anticipo dagli utilizzatori da quelli che danno diritto ad un servizio offerto dal distributore[2].

La tessera (o tessara), nata in Mesopotamia[3] e ampiamente utilizzata ad Atene[4], fu inizialmente un symbolon, cioè qualcosa di concreto che coincide, che consente un accostamento, dunque un mezzo di identificazione. In questo senso, nella Grecia arcaica un pezzo di legno veniva spezzato in due tronconi, i quali, quando riavvicinati, consentivano ai primitivi possessori e ai loro delegati di farsi riconoscere. L'introduzione della scrittura, essa stessa simbolica, permise successivamente di incidere sull'oggetto vari messaggi, e così il symbolon si specializzò a seconda dell'uso che se ne faceva, o anche del modo di fabbricarlo e distribuirlo, diventando la tessera di impiego comune, per lo più quadrangolare[5]. La tessera conobbe il suo apogeo a Roma, che nel primo periodo imperiale contava oltre 1.000.000 di abitanti. Il potere radunava il popolo e ne faceva opinione pubblica consenziente attraverso l'uso delle tessere, impiegate soprattutto per sfamare e divertire la plebe (panem et circenses!). Ogni mese venivano distribuiti un milione di moggi di frumento alle persone iscritte in un elenco di assistenza (circa mezzo milione), e da qui la necessità di fabbricare moltissime tessere di controvalore (tessere frumentarie / sussidiarie-nummarie). In occasione delle festività si producevano particolari tessere d'accesso ai vari settori di svago, specie per gli spettacoli teatrali (i teatri di Roma disponevano di 50.000 posti a sedere) e per quelli nei circhi (l'ambitissimo circo Massimo con i suoi 250.000 posti a sedere poteva ospitare circa 1/4 dell'intera popolazione!). Al Colosseo (50.000 posti), dove si assisteva all'hoplomachia ed alla venatio, i gladiatori possedevano una tessera gladiatoria appesa al collo, mentre l'accesso alla manifestazione era regolato dalla comune tessera plumbea; considerata la quantità di spettacoli quotidiani, queste tessere dovevano essere prodotte in gran numero, con estrema rapidità ed in modo economico. Vi erano poi tessere per i Saturnali , per i collegia, per i militari (con l'epigrafe ridotta al minimo ed il nome del soldato al genitivo), le tessere hospitales, le conviviales e le sphintriae (marchette per i lupanari).

La fine dell'Impero Romano e le invasioni barbariche portarono ad una considerevole diminuzione nella produzione e nell'impiego della paramoneta, che riprese invece vigore in epoca medievale, con il rifiorire dell'economia. La paramoneta veniva in questo periodo utilizzata soprattutto dai mercanti come aiuto nella contabilità, durante le varie fiere internazionali, e proprio a causa di questo uso prevalsero presto i termini di "gettone" e di "merello". Accanto a questo impiego principale, non vennero tuttavia meno le altre funzioni (es. pubblicitaria, celebrativa, contromarca ecc.), per cui anche del Medioevo ci sono giunti numerosi reperti di vario tipo.
Con l'avvento del sistema decimale, che ha permesso un conteggio più rapido e semplice, è scomparso l'uso dei gettoni da conto, mentre si è rafforzato l'impiego della paramoneta come mezzo di pubblicità o come controvalore, soprattutto in periodi di crisi economica o di carenza di moneta spicciola.

Lo stile delle tessere ha costantemente seguito quello delle monete. Ad Atene erano quasi sempre in bronzo, spesso riconiate su monete di Siracusa[6], mentre in Oriente veniva anche
utilizzato il vetro. Nell'antica Roma esse erano per lo più in piombo fuso, ed eccezionalmente in bronzo coniato, mentre le marche del periodo medievali risultano prevalentemente in rame e ottone. Infine per i moderni gettoni si usano svariati metalli (es. alluminio, acciaio, ferro) e numerosi altri materiali, compresa la plastica.

Sulle schede tecniche del seguente catalogo sono state riprodotte in scala 1:1 le immagini[7] del diritto (O = obverse) e del rovescio (R = reverse) di tutti i gettoni. Sono stati indicati la tipologia, il metallo, il peso (W = weight), il diametro (D = diameter), lo spessore (T = thickness), l'orientamento dei conii (H = hour), il taglio (E = edge) ed un valore indicativo[8]; quando noti, sono stati segnalati la data, il luogo[9] e l'incisore. Sono state dettagliatamente descritte le leggende e le figure presenti sulle due facce, utilizzando anche termini stranieri di lingue diverse. Nel campo in fondo alla scheda vengono riportate le varianti esistenti e i principali riferimenti bibliografici, oltre a curiosità e a notizie storiche; in alcuni casi è stata allegata l'analisi metallografica al microscopio elettronico. L'impaginazione è stata fatta per gruppi omogenei, seguendo un ordine tipologico e di luogo, per cui il numero d'ordine risulta diverso da quello di inventario.


[1] J.H. Eckhel, Doctrina Nummorum Veterum, Vindobonae 1798, VIII, sectio II, pp. 314-320.
[2] Questa suddivisione tiene conto unicamente dell'aspetto economico, e non considera il ritorno indiretto in pubblicità delle distribuzioni gratuite, anch'esse presenti fin dall'antichità.
[3] Le tavolette di argilla della città mesopotamica di Uruk del 3500 a.C., anche se scritte in forma pittografica, sono in alcuni casi delle vere prototessere.
[4] Sono stati rinvenuti numerosi reperti in bronzo con la testa di Atena sul D e varie lettere dell'alfabeto sul R, impiegati in teatri o tribunali della città.
[5] Dal greco τέσσαρα, che significa "quattro".
[6] Sono state però ritrovate anche alcune tessere in terracotta rossa, grigia, gialla e in piombo.
[7] Tutte le immagini sono state eseguite in TIFF a 300DPI, utilizzando dapprima uno scanner in bianco e nero (anni '90) mentre in seguito sono state fatte scansioni a colori.
[8] Le indicazioni di valore, attribuite dal Collezionista lungo un arco temporale di circa 20 anni, non vogliono rappresentare il prezzo dei vari gettoni ma definire la loro "rarità", e forniscono quindi un utile elemento per stabilirne l'attuale quotazione di mercato (N.d.R.).
[9] In questo campo viene indicato primariamente lo stato-nazione in cui il gettone ha circolato, che non sempre coincide con il luogo in cui è stato prodotto (zecca), talora ignoto o difficile da identificare. Dove possibile, si è poi specificata anche la città, spesso riportata sul gettone stesso ed espressione dell'autorità emittente (esercizio commerciale, ditta, evento ecc.) che ne ha indetto il conio. Dove non esiste alcun elemento per un'attribuzione geografica, il gettone è stato classificato tra i "senza luogo" (S.l.).


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